L’economia e le (dispotiche) leggi del mercato governano al posto dei "governi". Fantocci travestiti da tecnici occupano istituzioni che dovrebbero rappresentare il popolo, tutelando al contempo interessi senza volti né nomi. La sovranità monetaria è già quasi un lontano ricordo, seppellita in qualche caveau o nascosta sotto la firma di accordi poco chiari. Siamo schiavi del PIL e del modello di crescita continua che ormai condiziona ogni aspetto della nostra vita: la nascita, la scuola, la sanità, il lavoro, la pensione, la morte. Ecco perché mettiamo in discussione questo modello di presunto sviluppo, che sta viceversa dimostrandosi un modello di "inviluppo", poiché omologa le economie e le tradizioni, i popoli e le culture: ex protagonisti di un tempo, neanche troppo lontano, che potrebbe presto essere scordato. Siamo contrari ad un sistema che in pochi anni ha distrutto secoli di tradizione: l’economia attuale non è più in grado di comunicare con il suo principale referente, l’uomo. Proponiamo una seria riflessione, volta a riportare l’uomo al centro delle dinamiche economiche. L’uomo come perno della bilancia e non come merce di scambio: solo riappropriandosi di questa dimensione sociale potrà essere certo di non soccombere al dominio dell'economia moderna, riprendendo così possesso della propria dimensione spirituale. Affinché l'economia torni ad essere un mezzo e non un fine, per il bene comune.